I container fanno capolino in Chrome OS

by Matteo Cappadonna on

Seppur in Italia non abbiano ancora preso molto piede, in altri paese (Stati Uniti in primis) i Chromebook vendono abbastanza bene.

Per chi non li conoscesse, sono computer portatili, generalmente con processore ARM, su cui viene fatto girare il sistema Chrome OS che, pur avendo una base Linux, mette a disposizione fondamentalmente un browser Chrome su cui far girare diverse “applicazioni” (di fatto son plugin). Il costo -in genere- ridotto e l’alta disponibilità di connettività sul territorio, li hanno resi particolarmente acquistati soprattutto in ambito scolastico.

Non discuteremo di quanto sia buono avere un computer che è totalmente nelle mani di Google (lasciamo a voi lettori esprimervi a riguardo), ma tant’è che alcune persone utilizzano la modalità developer (modalità di funzionamento particolare dei Chromebook che da più accesso al sistema Linux sottostante, generalmente attivabile tramite uno switch hardware) per installarci la propria distribuzione preferita.

E’ stata però trovata una funzionalità inaspettata nell’ultima release di Chrome OS: utilizzando crosh, l’equivalente dei nostri terminali utilizzabile per lanciare comandi sullo strato Linux sottostante l’OS di Google, richiedendo la lista dei comandi si trova anche questa entry:

I container fanno capolino in Chrome OS

(source: chromeunboxed.com)

Pare quindi che l’OS, seppur senza fornire alcuna interfaccia grafica utente a riguardo, permetta di eseguire comandi all’interno di un container.

Ho sottolineato l’aspetto dell’assenza di interfaccia grafica perchè, normalmente, tutto quello non viene reso disponibile da Google nelle impostazioni del suo Chrome OS è considerato dalla stessa “non per l’utilizzo da parte degli utenti“.

Questa scoperta fa pensare al futuro di questa categoria di prodotti: l’esecuzione di applicazioni all’interno di container apre molta strada per l’integrazione di comandi che girino “sul dispositivo stesso” (cosa parecchio inusuale per i Chromebook), magari andando a supportare software scritto per altri OS, seppur limitando il tutto all’architettura ARM.

E forse, affiancandoci il fatto che l’azienda di Mountain View sta alzando l’asticella (il nuovo Pixelbook si attesta sui 1000$), forse si sta valutando di aprire un pochino il sistema ad altre tecnologie, per rendere più appetibile il prodotto ad un mercato più ampio.

Vedremo se resterà un tool ad uso “interno” o se Google punterà su questa feature per allargare il proprio bacino di utenti.

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Written by: Matteo Cappadonna